Lifvsleda – “Sepulkral Dedikation” (2022)

Artist: Lifvsleda
Title: Sepulkral Dedikation
Label: Norma Evangelium Diaboli
Year: 2022
Genre: Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “Sändebudet”
2. “Lifvspänn”
3. “Djefvulen”
4. “Hädankallad”
5. “Likbålet”
6. “Dödspredikanten”
7. “Evigheten”
8. “Kallet”

“Whether by word or whether by blade, it is death that permeates our every quest.”

Non è per il solo tramite della morte che la consistenza della cosiddetta vita viene a mancare in tutto il suo altisonante dramma. Non è necessariamente per via ultima della morte, bensì con l’alleanza e la compiacenza della stessa vita, in vitam, che la sua nefasta, equa e speculare sorella riesce ad asfissiare ogni forma di luce ed ogni essenza vitale anche e ben prima che l’ultimo respiro esali da un organismo beffato nella sua pretesa di perfezione. Così la cara e medesima vita, che come disse qualcuno di caro alle nostre pagine a volte ha il dovere di soccorrere la morte, anche quando non lo fa nella sua forma più vitrea ed esplicitamente evidente, finisce per scadere in una paradossale mimesi e infame replica semovente di ciò che muore – di ciò che decade, di quel che è attirato come opposto polo magnetico verso le ombre del sepolcro e verso la sua quiete. Forse perché troppo stanca e sfibrata, a sua volta, di una frenesia che ha ormai assunto i connotati del Diavolo in persona; forse perché nell’abbraccio cadaverico della sua controparte si spegne sempre in qualche modo un dolore, una sorta di povertà interiore che non riesce a trovare conforto altrove, come in essa venisse invece stemperato dalle più perenni nebbie di un letale intruglio alcolico in cui nulla diventa finalmente tutto, dove tutta la morte diventa vita. E diventando ciò da cui resta affascinata, in un certo qual senso, tutta la creazione ascoltata in coro assume insomma i contorni di una sepulkral dedikation: la riverita e paradossale tensione vitale verso il grembo della terra, come la definirebbero splendidamente e nella semplicità della loro oltremodo poetica lingua i Lifvsleda.

Il logo della band

Nel cantare irrequieti gli otto nuovi comandamenti di questa pulsione di Thanatos, vale a dire nell’atto di comporre e produrre il secondo album da novelli apostoli della morte dalla Dalecarlia, tutto è portato al proverbiale livello successivo senza che tuttavia una tale asserzione possa rendere minima giustizia alla crescita di quelli che già sono veterani quali i Lifvsleda dimostrano udibilmente di essere. Se di maturazione si può dunque disquisire (e a scanso di equivoci, per il sottoscritto, non solo se ne può disquisire ma è un’assoluta necessità), si tratta effettivamente e forse più propriamente parlando di affilare antiche armi: di affondarle ulteriormente nel cuore di un progetto nuovo – e per il nuovo progetto. In funzione di esso e di esso soltanto, senza mezzi termini e senza sconti. Così i Lifvsleda, nel 2022 messo in musica dal loro attuale testamento spirituale in “Sepulkral Dedikation”, stipulano un contratto che è dedica e dedizione assoluta al contempo alle fattezze del proprio carattere; ad una chiamata; ad un suono che è quello di ere passate e nuovissimo al contempo – familiare eppure unico al mondo intero. E non sorprendentemente proprio in questo criterio di novità, nel nuovo come nel noto inizio, giace la costante riverenza alla tirannia della fine, della tomba, dell’estinzione; in ogni alfa un omega di morte e di una distruzione che per il vero saggio è capacità di discriminazione e discernimento, l’esatto contrario di un’imparentata figura con quella della dea proverbialmente bendata. Qualcosa che rende completa l’accettazione ultima dell’esistenza e persino imperatore del mondo colui che riesce ad ottenerla e stringerla in pugno. Come nel caos di una manipolazione del suono strettamente analogica in cui nulla sembra controllabile ma lo diventa con la naturalezza di una legge cosmica soggiacente per l’eletto, quella devastazione e quel terrore conseguenti sono bestia cieca ed imparziale soltanto per gli sciocchi. Per gli altri, la tromba di un commovente giorno del giudizio.

La band

I Lifvsleda fanno insomma illustre eccezione ad un caso umano a cui non appartengono. La voce viene da altri piani d’inesistenza: una tortura medievale coi mezzi della più disumana alienazione post-moderna. La deformazione della mente, la distruzione della sanità tramite il suono di mille coltelli che si acuminano nelle membra scarne e già scarificate di “Likbålet”, una sepoltura sul tappeto di una sezione ritmica che rimbomba compatta e splendidamente inusuale per i derisi standard d’ingegneria sonora, magma che ribolle con potenza sotto al ghiaccio tagliente in trasparenze melodiche sopraffine e di polvere che si alza ottenebrando la vista, riempiendo polmoni e ventricoli di sangue, deformando le cavità respiratorie e togliendo la vita dall’aria.
Ma già “Sändbudet”, aprendo il disco, va oltre tutto ciò: cinque minuti che hanno quell’indescrivibile attacco, l’incipit che sa di eternità à la “Kuolleiden Maa” dei Moonsorrow; quella apertura dove, in una manciata di secondi che scivolano sgretolandosi sotto il peso di una gravità ineluttabile tra le dita come sabbia maledetta in una clessidra, si sente immediatamente che si è al cospetto di qualcosa di veramente grande. Che si è in attesa febbrile di qualcosa che lascerà un segno dentro. E così è l’oscurità inquieta dei tre badilatori svedesi: un trionfo di anti-melodie che scavano nelle profondità e nell’intimo diventando sinfonie d’acciaio sporco, così come fanno con gelida ferocia quei rintocchi di sequencer che chiudevano in maniera così svuotante la “Landet Bortom Skogen” di “Det Besegrade Lifvet”, e che aprono quindi il primo passo di otto in “Sepulkral Dedikation” avvolgendo della stessa gelata eterna la già strepitosa “Transilvansk Hunger” (cover inclusa come splendido omaggio ad una passione, ad un concetto e ad un modo di essere nell’anticipatorio EP di due mesi fa), i quali si sviluppano come un malsano suonar di pianoforte a coda anche in “Lifvspänn” – quei rintocchi di cui non serve descrizione e a cui -passino venti, trenta o anche duecento anni- rimane impossibile restare indifferenti quando si ha quel qualcosa dentro. Perché le emozioni che si possono provare in “Likbålet” sono qualcosa di rarissimo, qualcosa che va ben oltre l’affare di meri dödspredikanter, degli scorticatori scandinavi che comunque puntano alla giugulare in una squisita “Djefvulen” in tutti i suoi virulenti pattern lenti, scaltri e criminali ma sempre oscurissimi; perché il gelo dei Lifvsleda parla una lingua ignota e al contempo universale facendosi strepitosamente bruciante, soprattutto quando mena la falce come sull’iniziare dell’anzidetto terzo brano, sulla ipnotica epicità di “Hädankallad” e soprattutto sui quarti dell’esplosiva e gravosa “Dödspredikanten”: accelerazioni da panico, spari con un tiro micidiale che trovano tutta la loro massima espressività nell’evoluzione sprigionata proprio in rallentamenti come quello della tela di ragno “Evigheten”, e negli sprigionamenti di Dark Ambient di scuola Cold Meat Industry più copiosi ed ancor meglio integrati nella musica più nera del mondo che in passato. Proprio nella dinamica e nella ritmica complessiva gli svedesi fanno del resto un passo enorme avanti rispetto alle ottime premesse del debutto; e su “Kallet” quel passo raggiunge il limite e fa crollare il mondo intero: il freddo penetra le ossa senza pietà, senza sazietà, e annichilisce col suo vuoto prima di annientare tutte le strutture portanti della vita, prima di franare con quel suo zoppicante assolo scomposto conclusivo e rastrellare senza pietà i capisaldi dell’organismo come una dannazione che da sempre esiste e per sempre flagellerà la terra per l’ironico bene dell’uomo.

Eppure, il Black Metal dei Lifvsleda non può essere definito, con un luogo comune enormemente abusato com’è, quale l’esempio di una qualche vecchia scuola. Non può essere né classicista né tantomeno revivalista ciò che da un lato non è un omaggio ai tempi passati ma la loro stessa emanazione che, di conseguenza, si fa diretta reincarnazione nel presente e del presente così come le ceneri rendono in fondo più fertile il suolo in cui sono accolte; non può essere vecchia la scuola di ciò che, dall’altro, con mezzi di una familiarità disarmante crea uno spettro di sensazioni frattanto nuovissime e antiche come il tempo. Non può essere programmato né organizzato ciò che è organico nelle sue viscere. Perché il Black Metal dei Lifvsleda è fatto di tutto ciò, di tutta la materia che rende questa musica eterna come una delle più profonde ed inscalfibili dedizioni possibili. Una fede, una credenza, per chi ha sul serio preso casa nell’oscurità; una fede con cui, uni dei molti e nulla del tutto, si è vincolati in matrimonio a qualcosa: alla miseria, alle angherie della vita, alla solitudine assoluta. Ai dolori e all’iniquità della terra, che tuttavia chiama e sempre chiamerà a sé, verso le più ammalianti e meste profondità del suo ventre. Da una morte rifuggita verso un’altra morte anelata. E in fondo ciò che Dio ha deciso di congiungere in matrimonio non è certo l’uomo a poter separare: ty kom ihåg att du skall dö, urla impietosa una voce a cui per metà della nostra psiche vogliamo dare ascolto e per metà no. Kom ihåg att du är ingenting. Sopra e sotto la terra. Kom ihåg att vi alla skall dö.

“Tempus edax rerum, tuque, invidiosa Vetustas, omnia destruitis, vitiataque dentibus aevi paulatim lenta consumitis omnia morte.”

Matteo “Theo” Damiani

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